VIABILITA' MEDIOEVALE IN VAL DI VARA, DA LEVANTO ALLA LUNIGIANA: STORIE DI CASTELLI PERDUTI E DI BRIGANTI

VIABILITA’ MEDIOEVALE IN VAL DI VARA, DA LEVANTO ALLA LUNIGIANA:
STORIE DI CASTELLI PERDUTI E DI BRIGANTI

Quando si parla di viabilità medioevale e di antiche percorrenze di pellegrini e mercanti il pensiero corre subito alla Francigena. Eppure, come vedremo, questa sorta di autostrada del passato non era la sola presente nel territorio della Lunigiana storica. Con l’affermarsi infatti di piccoli e grandi potentati regionali, nel nostro caso la Repubblica di Genova, si va delineando una sorta di viabilità ad uso pubblico che si sovrappone in parte ai tracciati più antichi che avevano interessato le dorsali dei monti, più sicure e veloci. A metà del Trecento, nel periodo di espansione della Superba verso i territori un tempo posseduti da piccole famiglie feudali o sottratti ai Malaspina, i Genovesi acquistano via via nuovi territori. Determinante sarà, con la costruzione del porto canale di Levanto iniziata in quel periodo, il venir meno del potere delle famiglie Da Passano, che controllava l’approdo dell’originario borgo sul mare, Celasco che aveva il controllo della viabilità interna con centro a Bardellone e Da Vezzano padrona del territorio montano dello Zignago. La repubblica di Genova mette le mani sui nodi strategici che dal mare salivano la montagna, transitando in Val di Vara per ridiscendere a Pontremoli, importante punto di incontro con la Via Francigena.
Per quanto possa oggi sembrare anacronistico le merci che partivano da Genova dirette in territorio emiliano seguivano dapprima il percorso via mare per approdare a Sestri Levante o Levanto e proseguire verso l’entroterra. Da mere esigenze commerciali che ben si coniugavano con la presenza significativa, a quel tempo, di pellegrini provenienti o diretti in Terrasanta, a Roma o a Santiago di Compostela attraverso gli approdi del Mediterraneo, nasce una strada medioevale, la Via dei Monti o Via de Pontremolo come era conosciuta in Lunigiana.
Non dobbiamo pensare in una fase iniziale a grandi interventi strutturali sulla viabilità da parte dei Genovesi quanto piuttosto all’utilizzo di piccole piste che sfruttavano la dorsale dei monti come acutamente rileva il professor Redoano Coppedè nel libro “Pignone e le sue vie tra Medioevo ed Età Moderna”. Solo successivamente, affermatasi la definitiva supremazia della Repubblica di Genova, assisteremo allo sviluppo della viabilità lungo i fondovalle ancor oggi testimoniata da interessanti opere lungo alcune direttrici storiche che da Levanto portavano in Val di Vara. Nonostante le alluvioni, ultima delle quali quella dell’ottobre 2011 che ha cagionato danni irreparabili alla viabilità medioevale lungo i torrenti di alcuni territori della Val di Vara, ancor oggi è possibile una lettura, per quanto parziale e incompleta, dei luoghi e dei percorsi usati secoli orsono.
Dobbiamo molto al professor Tiziano Mannoni, archeologo e studioso attento del territorio, all’ISCUM di Genova da lui diretto e agli studioso e ricercatori di Levanto e della Val di Vara, ai quali va indistintamente l’apprezzamento di noi tutti, se la Via dei Monti o Via de Pontremolo è uscita da una sorta di dimenticanza collettiva. L’indagine condotta in tutti questi decenni e gli scavi eseguiti hanno messo in luce e riconsegnato alle comunità percorsi e manufatti che hanno secoli di storia. Basta guardare con attenzione l’antica area portuale di Levanto, sorta attorno a quello che fu per alcuni secoli il porto navigabile del torrente Cantarana, per apprezzare un passato che vive in mezzo a noi ma che non appartiene più alla città moderna proiettata da tempo sul turismo. Il professor Mannoni era solito ripetere nei suoi scritti che i Levantesi non devono vergognarsi del loro passato mercantile ma essere orgogliosi di un periodo storico che ha segnato lo sviluppo del borgo così come oggi lo possiamo ammirare.
Risalendo la montagna di Bardellone ci troviamo di fronte a un territorio montano, talora aspro, che sembra a prima vista non appartenere affatto alla Levanto marinara che conosciamo. Eppure la storia medioevale, divisa fra Borgo e Valle come sanno bene i Levantesi, è nascosta su queste piccole asperità. Basta salire con pazienza e un po’ di fatica sulla vetta del monte Bardellone e guardare i pochi resti della torre che faceva parte della struttura fortificata dei signori di Celasco per capire la posizione strategica di quel luogo. Scendendo a Cassana, seguendo l’originario percorso medioevale di crinale ovvero il bel sentiero di fondovalle, non troveremo più il castello che assunse importanza notevole nel XIII secolo nella lotta fra il Vescovo di Brugnato e i Malaspina. Esistono fondati dubbi che il maniero si trovasse dove ora è ubicata la chiesa come sostengono alcuni studiosi locali, visto che un edificio religioso risulta documentato e coevo al castello che doveva trovarsi, come giustamente sostiene l’archeologa Luisa Cascarini, altrove. Risalendo da Brugnato l’antico sentiero conosciuto come Reigada si arriva a Serò toccando successivamente l’abitato di Pieve di Zignago. Sul piccolo rilievo di fronte al paese sempre Tiziano Mannoni effettuò una complessa e lunga serie di scavi, ripresi anche in epoca successiva, che hanno messo alla luce un villaggio medioevale andato distrutto probabilmente a causa di un incendio. Non casualmente stessa sorte toccò alla vicina struttura fortificata di Serramaggiore situata lungo l’antico percorso che dalla valle risaliva la dorsale passando accanto al lago Puro, non lontano dall’attuale Valgiuncata. Il destino dei due insediamenti, facenti un tempo parte del complesso difensivo dei signori da Vezzano, padroni del territorio, acquisito nel Trecento dalla Repubblica di Genova, pone un interessante interrogativo: perché questi sistemi di avvistamento posti in posizione strategica rispetto alle antiche percorrenze vengono distrutti? Per comprendere come andarono le cose è bene tornare all’inizio della nostra storia quando i Genovesi prendono possesso del Levante ligure, strategico per i loro commerci e interessi politici. La Via dei Monti o de Pontremolo, già ricordata in precedenza, rappresentava l’arteria principe della complessa viabilità del tempo con il transito di merci e persone, strategica per i contatti con realtà economiche della Val Padana. Non casualmente le strutture militari poste lungo il percorso medioevale vengono man mano smantellate per evitare credibilmente un possibile riarmo delle stesse in funzione anti - genovese.
La Via dei Monti non rappresentava conseguentemente una strada qualunque nata per collegare il mare all’entroterra ma la via maestra, una sorta di collegamento privilegiato con la Francigena in Lunigiana. La posta economica in gioco e la credibilità della stessa Repubblica erano tali che i Genovesi ricorrevano spesso alle maniere forti per colpire il brigantaggio presente anche a quel tempo. La vicenda tragica che vede protagonista Odorico Biassa, nobile spezzino, alla quale abbiamo fatto cenno parlando dei castelli malaspiniani della Val di Vara, si inquadra in questo contesto. Nei primi giorni di febbraio del 1416 un gruppo di quattordici sicari al soldo di Gabriele Malaspina, appartenente al ramo dei marchesi di Villafranca Lunigiana e signore di Brugnato, assale e uccide Odorico. Il luogo dell’agguato è vicino a Brugnato “al di là del fiume” ragion per cui è lecito pensare che sia individuabile con la sponda destra del fiume Vara in prossimità della odierna Borghetto. L’aggressione fu premeditata e organizzata in ogni dettaglio: per molti giorni il gruppo fu ospitato in una taverna di Brugnato a spese del marchese e utilizzato dallo stesso in modo spregiudicato per taglieggiare la popolazione. Appena arrivata la notizia a Genova della morte di Odorico la repressione non si fece attendere vista la posizione di rilievo del Biassa, a quel tempo luogotenente alla Spezia del vicario Aleramo Grimaldi. Alcuni giorni dopo l’omicidio le milizie capitanate da Battista Campofregoso arrivano in Val di Vara e arrestano i quattordici sicari, dieci dei quali sono ammazzati subito mentre quattro riescono ad evadere e non sono più ritrovati. Pellegrino di Milano, che dimorava a Genova, arrestato un anno dopo il fatto, viene processato nel convincimento che sia uno dei quattro fuggiaschi. Il lungo processo, che ha luogo a Brugnato con l’audizione di numerosi testimoni fra i quali l’oste della taverna che aveva ospitato il gruppo, si chiude con un nulla di fatto dopo l’accertamento della totale estraneità dell’interessato che in un primo momento aveva dichiarato sotto tortura la sua colpevolezza. Del marchese Gabriele nessuna traccia, sparito nel nulla! In compenso le truppe del Campofregoso si accaniscono sui parenti del marchese mettendo a ferro e fuoco numerosi castelli malaspiniani della Val di Vara e della Lunigiana fra la fine di febbraio e metà maggio del 1416.
Vi chiederete cosa c’entra questo lontano fatto luttuoso, ricostruito in modo puntiglioso dallo studioso Ubaldo Mazzini spulciando nell’archivio storico della Spezia, con la Via dei Monti. Odorico Biassa si stava recando a Zignago, terra del Vicariato spezzino in Val di Vara, per indagare sull’aggressione mortale a un gruppo di pellegrini che di là transitavano non sappiamo se diretti a Pontremoli o Levanto. Un territorio, lo Zignago, popolato da trecento anime nel tredicesimo secolo salite duecento anni dopo, con la nascita degli otto piccoli borghi che ancora lo compongono, a millecinquecento nel fiorire di commerci fra i territori ligure e tosco – emiliano. Grazie all’intuizione di Tiziano Mannoni e dei suo collaboratori è stato possibile ricostruire il percorso medioevale di pellegrini e mercanti per farlo conoscere e dare dignità e speranza a un territorio, la Val di Vara, che è uno scrigno di storia e di curiosità. Guardano al futuro con rinnovato impegno ed entusiasmo come hanno fatto alcuni giovani della valle che hanno ripristinato il sentiero che attraverso Bozzolo sale a Serò per ricongiungersi alla Reigada! 

Nella foto parte absidale della cattedrale di Brugnato


 

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