CASTE', IL BORGO CARO A UBALDO MAZZINI

CASTE’, IL BORGO CARO A UBALDO MAZZINI


Il piccolo borgo di Castè, in comune di Riccò del Golfo, sorge sul medio versante del colle sul cui cocuzzolo svettava un tempo il castello di Carpena, preso e distrutto dai Genovesi, dopo un’orrenda carneficina, nell’aprile del 1412.
Mentre per Carpena, divenuta Podesteria della Repubblica di Genova nel 1273, la storia è ricca di notizie per tre secoli nel corso del Medio Evo, a Castè riserva soltanto qualche briciola.
Il paesino viene citato a proposito del rinnovo del giuramento prestato alla Repubblica di Genova, nel 1251, da Carpena stessa e da terre che ad essa appartenevano, tra le quali Castè.
In seguito, di Castè si perdono le tracce. Sarebbe vissuto all’ombra del potente vicino, dividendone il cammino nella buona e nella cattiva sorte senza mai comparire.
Una ricerca minuziosa fu compiuta da Ubaldo Mazzini (profondo studioso a tutto campo: scrittore, storico, archeologo, raffinato poeta dialettale), che fu amico di Castè, salotto culturale sul finire dell’Ottocento e nel primo Novecento avendo quale mecenate l’avv. Filippo Paganini, proprietario in loco di molti immobili, compreso il palazzo con la Corte Paganini dove egli soleva invitare il fior fiore degli intellettuali spezzini, primo tra i quali il Mazzini.
In occasione del 91° compleanno di Filippo, Ubaldo Mazzini dedicò all’anziano, sempre arguto e vivace amico, un’avvincente narrazione storica, pubblicata dal Giornale storico della Lunigiana, avente per oggetto le “Vicende del Castello di Carpena fino alla sua eversione”.
L’esordio sintetizza al massimo la storia: “Carpena era un grosso castello posto sulla vetta d’un colle nella parte più interna del Golfo della Spezia dal lato di ponente, fra i monti Parodi, Verrugoli e Bèrmego. Ora non è più che una povera terra composta di poche case coloniche attorno ad un’umile parrocchiale intitolata a San Nicolò da Bari, che ha soggetti i casali sottostanti di Castè e della Codeglia, ed è frazione del comune di Riccò del Golfo”.
Poche case coloniche, dunque. Dal tempo in cui Mazzini scriveva queste note ad oggi, Carpena non ha avuto sviluppo urbanistico. Così pure Castè, che ha conservato intatta quell’immagine rustica tanto cara al Mazzini, come traspare da un’ode composta per Federico Paganini, giornalista come il Mazzini, condirettore del Correre della Spezia fondato nel 1897 dallo stesso Mazzini. La poesia voleva essere un “dono di nozze “ all’ amico che si sposava nel 1906 con la signorina Laura Mazzuchetti di Biella.
Il sogno apre l’armadio delle memorie e al Mazzini pare di sentire l’amico:”Mia ‘n po’lassù, Mazin, te vedi gnente?/ En mucéto de ca’ negre: Castè! Quante fantade, e quanti giorni bei!.”.
Guarda un po’lassù, Mazzini, vedi niente? Un mucchietto di case nere: Castè!../
Quante ragazzate, e quanti giorni belli!”.....
Questa pennellata fotografa Castè dall’esterno: “’n mucéto de ca’ negre”. Poi c’è l’ingresso nelle case. Ecco i cavoli neri, ecco la grada, ecco i “ravièi…:
E sembra di vedere la mitica Maietta indaffarata a preparare prelibatezze per gli ospiti.
Chissà se quelle casette nere sono le stesse sopravvissute alla terribile vendetta consumata dai Gonovesi nel 1412, quando i Carpenesi, più volte disubbidienti nonostante i giuramenti di fedeltà, si ribellarono alla Superba Repubblica.
La storia dice che il capitano Antonio Doria “diede battaglia al luogo, et benchè si difendessi valentemente, non di meno fu preso assai presto, et in la battaglia furon morti cinquecento huomini carpanesi, et poi per esempio degli altri ne furono impicati vintidoi”.
Durante la ribellione di Carpena, la Spezia rimase fedele a Genova, e nacque, fomentata dagli odi antichi – apprendiamo dal Mazzini – “acerba lotta fra le due comunità”. Al punto che gli spezzini “prestarono man forte nell’assalto ed espugnazione di quel castello” e volevano che i carpenesi superstiti fossero dispersi e prendere possesso dei loro beni. Genova accolse l’istanza.
Soltanto quattro anni più tardi, nel 1416, sotto il doge Tomaso Fregoso, la Superba fu mossa a pietà dalle miserabili condizioni dei carpenesi e permise loro di rientrare in possesso dei propri beni, vietando però di tornare ad abitare sul monte dove sorgeva il castello.
Può darsi che qualche carpenese si sia allora rifugiato a Castè, risparmiato dalla feroce battaglia che si combatteva duecento metri più in alto.
Molto più tardi, in barba al divieto, che forse a Genova più non interessava, qualche casupola cominciò a sorgere nell’area sotto il demolito castello. Potrebbero essere quelle che adesso vediamo o buona parte di esse.
Dei trascorsi medievali di Castè come dicevamo troviamo una notizia certa solo nel 1251. Eccola, tratta da uno scritto ancora del Mazzini: “Nello stesso anno (1251) furono rinnovati i giuramenti di fedeltà verso il comune di Genova da Giovanni della Turca signore di Carpena, e furono ratificate le franchigie concesse a quella comunità. Il 4 settembre gli uomini di Castè, Biassa, Montenegro, Fabiano, Coregna, del Montale, del Debio, di Quaratica e del Pozzello giurarono obbedienza alla Repubblica e al nobile Giovanni della Turca, e furono ricevuti in compagnia del comune genovese”.
Il borgo di Castè torna a comparire molto più tardi, nel periodo napoleonico, quando assieme a Carpena viene aggregato al nuovo comune di Riccò del Golfo.
Al tempo dell’avvocato Filippo e di Federico Castè era una borgata agricola, come tutte peraltro a quell’epoca. Ogni famiglia traeva reddito dal lavoro nei campi. Ora, come altre piccole frazioni della Val di Vara, ha quasi perduto la componente autoctona pur mantenendo una buona consistenza demografica. La tranquillità e la vita a contatto con la natura hanno infatti attirato tanti forestieri. C’è chi ha comperato casa prendendo pure la residenza e chi la sfrutta per le vacanze. In qualche edificio libero si affittano le camere ai turisti, che per lo più hanno quale meta le Cinque Terre ma sono anche desiderosi di trascorrere qualche giornata sul posto, visitando Castè ed altri borghi.
Ad interessarli concorre un vivace programma estivo a tutto campo: dal teatro alle arti visive e alle sagre rievocanti la tradizione agreste. A proposito della quale si ricordano episodi toccanti come quelli che hanno come protagonisti dei ragazzini del luogo, per un giorno sgravati del lavoro nei campi per compierne uno non meno faticoso, che agli stessi non appariva tale in quanto alimentava lo spirito d’avventura, trasformando il lavoro in divertimento. Erano i giorni della trasferta sulle scogliere di Riomaggiore a mettere i piedi in mare alla Pineda per procurare alla famiglia l’acqua salata. Che mamme e nonne facevano poi bollire tra le mura domestiche ricavando il prezioso sale.
Storie d’altri tempi che appaiono oggi inverosimili ma che rappresentano piccole e commoventi testimonianze di comunità che continuano a incarnare lo spirito antico della Val di Vara, spesso ribelle e indomito come l’eccidio dimenticato di Carpena ci insegna.

Nella foto PARTICOLARE DI cASTè

 

Tutti gli eventi