LA VALLE DEL RICCO’ ALLA CONOSCENZA DELL’ANTICO MONDO DEGLI SCALPELLINI E DELL’ANTENATO DEL MODERNO JEANS
L’alta valle del torrente Riccò è uno scrigno di storia custodito oggi con cura da parte di alcuni appassionati di quelle antiche arti che sono la lavorazione della pietra arenaria e la tessitura, che qui hanno trovato fino al Novecento un profondo e diffuso radicamento.
Oggi un monumento ricorda, sul limitare della strada che da Riccò del Golfo, sede comunale, sale senza particolari asperità lungo le gole del torrente, l’antico mestiere dello scalpellino. Alle donne era invece riservata l’arte di lavorare con perizia la canapa ed altre materie prime: numerosi erano i telai dei piccoli laboratori artigiani che realizzavano vere e proprie opere d’arte con una manualità incredibile. Con il tessuto che veniva colorato utilizzando l’indaco era realizzata la “tela di Genova” divenuta molto tempo dopo negli Stai Uniti il moderno jeans. Sfatiamo la leggenda che questo caratteristico pantalone sia nato in America: fin dal XVI secolo nel porto antico di Genova si produceva già la particolare tela di color blu utilizzata inizialmente per la costruzione delle vele delle navi e successivamente come indumento. L’alta valle del torrente Riccò rappresentava per la Serenissima Repubblica, al pari di altre piccole località liguri, uno dei luoghi di produzione del tessuto. Con una certa ma motivata presunzione possiamo affermare che l’antenato del moderno jeans nasce in Val di Vara e più precisamente nel territorio del Comune di Riccò del Golfo!
Basta scorrere un bel filmato, dal titolo “Le valli di Riccò”,visibile tranquillamente in rete, curato da Valter Torri per la trasmissione televisiva Geo&Geo, per capire l’importanza di questi antichi mestieri oggi quasi scomparsi, attraverso le testimonianze di Alberto Zattera, di professione impiegato delle Poste, depositario dei saperi degli scalpellini, e Franca Rossi, insegnante di scuola superiore, della località Ri di Polverara sempre in Comune di Riccò del Golfo, che con il suo telaio artigianale ripropone l’arte antica della tessitura. Ad Alberto, Franca e altri appassionati locali dobbiamo riconoscenza se le tradizioni del passato e gli antichi mestieri dell’alta valle del torrente Riccò non sono ancora scomparsi.
Ma facciamo un passo indietro e visitiamo il paese vecchio di Riccò del Golfo che ci riserva non poche sorprese. Posto ai lati del torrente omonimo, fu in origine pertinenza del castello di Ponzò con funzione di piccolo borgo stradale. Il nucleo alla sinistra del corso d’acqua, il più antico, è raccolto attorno all’oratorio della Madonna della Neve, ai piedi della collina. L’oratorio non ha una datazione precisa ma è possibile ricostruirla attraverso lo studio dello sviluppo di questa parte del borgo. Solo in seguito nasceranno oltre il rio la chiesa parrocchiale di S.Croce risalente al XV secolo e il nuovo nucleo seicentesco con palazzi di ottima fattura impreziositi da portali in arenaria di raffinata bellezza, risultato del lavoro degli scalpellini locali.
L’insediamento originario, ben individuabile per le caratteristiche del suo tessuto architettonico, si sviluppò attorno all’ ospitale trecentesco, ricovero per viandanti e milizie, posto lungo il tracciato che univa il Golfo della Spezia a Ponzò e alla Via dei Genovesi che nel Medioevo rappresentava il percorso privilegiato per i corrieri della Repubblica di Genova. Il ricovero era conosciuto come ospitale di S.Cristoforo.
Successivamente in luogo dell’ospitale nasce l’oratorio di Nostra Signora della Neve. Edifici religiosi dedicati alla Vergine Maria sono documentati a titolo di esempio a Casale, Mangia, Suvero, Polverara e appunto Riccò del Golfo, per limitarci alla Val di Vara. Tenuto conto delle caratteristiche dell’edificio e del graduale sviluppo del culto mariano in Europa la costruzione è databile attorno al XVII secolo dopo che l’ospitale aveva perso da tempo la sua funzione di ricovero. Si tenga inoltre presente che la Via dei Genovesi lungo la dorsale che corre alle spalle della Val di Vara in proiezione del mare, oggi conosciuta come Alta Via delle Cinque Terre, cessa di avere utilità e funzione attorno al XIV secolo quando la Serenissima Repubblica penetra e si rafforza anche nelle aree interne della provincia spezzina senza più la necessità di utilizzare le scomode vie di altura percorribili esclusivamente a dorso di cavallo.
L’altra parte del borgo, come ricordavamo in precedenza, è disposta ai lati della vecchia strada che porta a Valdipino e Casella: qui possiamo ammirare l’arte dei lapicidi locali ai quali si devono alcuni portali di particolare pregio. Poco distante sopra la strada carrozzabile si erge la chiesa parrocchiale di S.Croce con un bassorilievo del XVIII secolo all’interno, ricca di altari con marmi di grande pregio che per ironia della sorte dovevano essere collocati nella cattedrale di San Lorenzo a Genova. Rimasero invece in S.Croce dando lustro alla chiesa riccolese.
Oggi Riccò è un mix di vecchio e nuovo, di un edificato moderno che si affaccia lungo la strada statale Aurelia e risale le colline, con una lievitazione considerevole dei residenti che ha rischiato di far diventare l’originaria comunità quasi marginale. A prima vista sembra scomparire il tessuto sociale della Riccò vecchia eppure non è così : la memoria storica è ancora forte al pari della passione per il recupero e la valorizzazione delle tradizioni locali.
Oltrepassate le ultime case di Riccò, si consiglia una breve deviazione fino al santuario di Nostra Signora dell’Agostina. La strada di accesso è vietata ai mezzi privati ma con una comoda passeggiata di circa mezz’ora si arriva davanti al grande piazzale della chiesa, dal quale il panorama sulla vallata è davvero gratificante. L’attuale edificio risale al 1701 con un interno austero e imponente. Un episodio miracoloso è alla base della costruzione del santuario e ha come protagonista una giovinetta di Valdipino, Agostina Masaschi, che il 10 maggio 1531 , mentre si trovava nel bosco, fu attirata da un bagliore proveniente da un castagno . Avvicinatasi vide un piccolo quadro raffigurante la Vergine con il Bambino che decise di portare a casa.Il giorno seguente l’immagine fu ritrovata nuovamente davanti al castagno e fu così deciso di costruire in quel punto la prima chiesa in ricordo dell’evento miracoloso.
Proseguiamo il nostro viaggio alla volta di Valdipino che con i vicini nuclei di Casella e Serenella si stende sui declivi attorno al torrente. Fino al 1454 la Podesteria di Corvara aveva la sovranità su questo territorio passato dopo alterne vicende con la Repubblica di Genova. A Valdipino esisteva un ospitale per pellegrini ricordato oggi da un bel portale in arenaria con una croce. Di arenaria è fatto anche il monumento ai Caduti a testimonianza di una lunga tradizione legata alla attività degli scalpellini noti per la loro professionalità nel lavorare la pietra arenaria in tutto il comprensorio spezzino. Valdipino e Casella erano, come abbiamo visto, anche importanti centri di tessitura: ogni famiglia possedeva un telaio, segno evidente di una attività diffusa capillarmente. La chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista, le cui prime notizie risalgono al 1318 e il cui impianto risulta modificato nel 1700, possiede al suo interno un pregevole affresco del XVI secolo raffigurante la Madonna con il Bambin Gesù e un fonte battesimale del 1460. Da ricordare anche l’Oratorio di S. Michele Arcangelo originariamente dedicato a S.Rocco.
Da Casella partono alcuni importanti sentieri che toccano da un lato l’interessante complesso carsico del monte Carmo arrivando fino a Quaratica e dall’altro raggiungono le Cinque Terre attraverso la sella di Cigoletta. Uno stretto e caratteristico carruggio percorre tutto il borgo fino a una piazzetta. A monte dell’abitato è visibile la chiesa di S. Gottardo, raggiungibile per sentiero oppure con carrozzabile da Ponzò. L’edificio fu costruito attorno al 1640 con ogni probabilità sui resti di un castello ed è dedicato al culto della Madonna di Loreto.
Come abbiamo detto in apertura Valdipino e Casella erano i paesi degli scalpellini, un’arte oggi quasi scomparsa raccontata da Luciano Bonati nel suo recente libro “Storie Nostre”. Bonati, camminatore infaticabile e socio emerito del Cai della Spezia nonché stimato giornalista e scrittore, parlando di Emilio Lusardi detto “Miliétu” di Casella, si sofferma sul lavoro dello scalpellino, sulle cave abbandonate lungo il torrente Riccò, sulla vita di sacrifici di quelle persone che sapevano lavorare con perizia e arte la pietra. Percorrendo il carruggio principale è possibile ammirare sulle facciate delle case l’espressione di un’arte unica e per certi aspetti irripetibile. La produzione del paziente lavoro dello scalpello finiva nella costruzione di edifici pubblici, militari e religiosi oltre che in opere pubbliche, a iniziare da marciapiedi, scalinate, moli e bacini. La Spezia passata da piccolo borgo a città grazie alla costruzione dell’arsenale militare è il frutto del lavoro degli scalpellini di Valdipino e Casella le cui opere d’arte, perché tali vanno considerate, sono ancora oggi visibili nel contesto urbano.
Chiudiamo con un curioso aneddoto di Carlo Caselli che parlando di Riccò del Golfo nel suo libro “Lunigiana ignota” ironizza sul richiamo al Golfo della Spezia. Racconta infatti di un commissario ministeriale residente nella capitale che si era fatto raccomandare per essere temporaneamente trasferito durante il periodo estivo a Riccò. Senza consultare nessuna carta e “argomentando dal nome” come dice il Caselli, l’interessato pensava che il paese sorgesse sulle rive del golfo. Partito con la famiglia e con tutto l’occorrente per il mare, arrivato a Riccò del Golfo “… s’accorse che neppure col più potente binocolo da campo non era, come non è stato mai, possibile vedere dalla sua precaria residenza la bianca schiuma del Golfo…”. Non sappiamo se il funzionario sia davvero esistito o la storia sia una burla ma il racconto del Caselli lascia, come in altre parti del libro, qualche dubbio sulla effettiva identità del personaggio. Una paziente ricerca di archivio ci toglierebbe, ne siamo certi, ogni dubbio! Vai a vedere che il commissario di cui parla il Caselli non sia lo stesso citato nel libro di Luciano Bonati, quando racconta di un singolare provvedimento emesso dal regio Commissario straordinario del Comune di Riccò che stava per denunciare otto scalpellini, tutti di Casella, per avere con gli scarti di lavorazione della pietra arenaria ostruito una cunetta stradale. Non sappiamo come sia finita quella storia che suonò come un grave affronto rivolto a quelle persone ma un dubbio ci sorge: quel commissario non sarà stata la stessa persona citata dal Caselli che, arrivato da Roma per fare i bagni in riva al Golfo dei Poeti, si era trovato in Val di Vara a prendersela con gli scalpellini?
Non sappiamo ma il dubbio rimane…
Nella foto il santuario della Madonna dell’Agostina