IL CASTELLO DI CALICE AL CORNOVIGLIO. DOVE E’ PASSATA LA STORIA.
L’imponente castello di Calice al Cornoviglio ci rimanda alle vicende di importanti e influenti famiglie genovesi, dai Fieschi ai Doria per arrivare agli Spinola. Nel mezzo la parentesi dei marchesi Malaspina che qui non hanno lasciato, rispetto a quanto avvenuto a Madrignano, segni significativi del loro passaggio. Il feudo di Calice e Veppo, che rappresentò per secoli il felice connubio di due comunità oggi ricomprese nei Comuni di Rocchetta di Vara e Calice al Cornoviglio, è testimone di storie che hanno segnato il destino del territorio ligure e non solo.
Il borgo di Calice è citato per la prima volta in un documento medioevale del giugno 1033 in cui è fatto cenno a una donazione al monastero di S.Maria di Castiglione, in provincia di Parma, da parte del marchese obertengo Adalberto II che lo aveva precedentemente fondato. Agli stessi Obertenghi è ascritta nel 1077 la prima struttura fortificata sul sito dell’attuale castello prima del transitorio passaggio agli Estensi. Calice vede lo scontro fra i Malaspina e il vescovo di Luni Gualtiero che la fa occupare dalle sue truppe per restituirla nel luglio del 1206 agli stessi Malaspina: questa data attesta per la prima volta l’esistenza di un castello sullo sperone roccioso che domina la valle del torrente Usurana anche se, come abbiamo visto, doveva già esistere una struttura per il controllo dell’accesso alla parte alta del Calicese. Non è un caso che nel maggio 1202 i domini del luogo e il popolo avevano giurato fedeltà ai Malaspina: i domini di cui parla il giuramento erano con ogni probabilità i discendenti dei funzionari inviati dai marchesi a governare il territorio. Si può quindi ragionevolmente datare la nascita del castello di Calice alla prima metà del XII secolo.
Esaminiamo ora la principali vicende che caratterizzano la presenza malaspiniana nella prima fase di vita del maniero che nel 1221 passa al marchese Corrado detto l’Antico di Mulazzo e viene assegnato dopo ripetute divisioni nel 1266 a Manfredi, capostipite del feudo di Giovagallo, località oggi ricompresa nel Comune di Tresana in Lunigiana. Nel 1355 Calice entra a far parte dei territori dei marchesi Malaspina di Lusuolo che lo tengono fino al 1416, anno fatidico per le sorti del castello che da quel momento entrerà nell’orbita genovese. Accade che Gabriele Malaspina di Villafranca Lunigiana si renda protagonista nelle vicinanze di Brugnato di un agguato mortale a Olderico Biassa, uomo di fiducia della Repubblica di Genova nel golfo della Spezia. Il delitto scatena la rappresaglia delle truppe di Battista Campofregoso che, occupati i castelli di Villafranca Lunigiana e Lusuolo, muovono verso il Calicese con l’ordine di demolire il maniero ritenuto una minaccia per i vicini territori della Repubblica genovese di Piana Battolla, Tivegna e Follo. Ma la decisione non avrà seguito con la scelta, ritenuta più saggia ed economicamente più vantaggiosa, di cederlo alla famiglia Fieschi che già aveva interessi in Val di Vara: i Fieschi ne manterranno il dominio per oltre un secolo fino alla congiura contro Andrea Doria che determinerà la loro definitiva uscita di scena. Giovanni Luigi Fieschi detto Gianluigi, figura emergente della famiglia, che ha sposato Eleonora, figlia di Lorenzo Cybo Malaspina marchese di Massa, ordisce un complotto per uccidere il potente ammiraglio della famiglia Doria, e impadronirsi della città e della flotta nemica che si trova in darsena a Genova. L’episodio, noto come “La congiura dei Fieschi” avviene il 2 gennaio 1547, altra data che avrà importanti ripercussioni per il lontano castello di Calice. Il piano, ben congegnato, sta per andare a buon fine con l’uccisione di Giannettino, uomo di fiducia e parente stretto di Andrea Doria, colpito a morte da un colpo di archibugio, e la fuga precipitosa dell’ammiraglio che ripara fuori Genova. Nella concitazione degli eventi avviene però un fatto che cambierà la situazione: Gianluigi, armato di una pesante armatura, durante il passaggio da una galea all’altra dei Doria, delle quali si era impadronito, cade fortuitamente in mare e annega. E’ la fine di un progetto e al tempo stesso di un nobilissimo casato: l’essersi messi contro l’imperatore Carlo V per il quale parteggiavano i Doria equivale alla perdita di ogni privilegio e del possesso di numerosi castelli e territori. Il feudo di Calice e Veppo è affidato direttamente ad Andrea Doria che lo passa al cugino Pagano, primo dei figli di Giannettino, al quale succede il fratello Giannandrea, uomo di mare al servizio del re di Spagna e indi la sorella Placidia sposata a Niccolò Spinola. Come si vedrà avremo nella vicenda di Calice due Placidia: la seconda legherà la sua vita al grande castello. La casata Doria – Spinola terrà il controllo del territorio calicese dal 1575 al 1709.
Niccolò e Placidia ebbero un figlio chiamato anch’egli Giannettino che sposatosi a sua volta con la nobile Diana De Mari aveva avuto una erede femmina alla quale, tanto per non smentirsi, era stato dato il nome di Placidia. La nobildonna dimorò a lungo nel castello di Calice e amministrò direttamente il piccolo feudo anche dopo il matrimonio con Carlo Doria Del Carretto, duca di Tursi, località della Lucania, a quel tempo parte del Regno di Napoli. Placidia nel 1625 entra ufficialmente in proprietà del feudo di Veppo e Calice introducendo profonde modifiche agli statuti malaspiniani del 1304 ancora vigenti.
Il castello da fortezza si trasforma in una residenza signorile, percepibile ancora oggi, frutto della ristrutturazione seicentesca. A pianta trapezoidale è frutto di successivi interventi con all’interno un grande salone a forma rettangolare; del primitivo edificio restano il torrione rotondo e il corpo cilindrico più in basso. Sono opera di Placidia anche gli ampliamenti della sottostante chiesa dedicata a S.Maria.
A Placidia che resse il feudo con equilibrio e intelligenza succede il figlio Giannettino ( il nome, evidentemente frequente all’epoca, compare per la terza volta in questa intricata storia) e dopo di lui il nipote Giannandrea Doria Del Carretto che ottiene l’investitura ufficiale nel 1671. Uomo d’armi, il nostro non aveva certo voglia di rimanere a svernare in quel castello lassù sulla montagna e così modifica ancora gli statuti creando la figura del governatore cui affidare l’amministrazione del feudo in vece sua. Il grande salone da sala di rappresentanza diventa un’aula per i processi penali!
Ma come spesso accade, raccontando dei castelli della Lunigiana storica, le sorprese non sono finite. Lo scontro fra gli eserciti franco – spagnolo e le truppe imperiali, noto sotto il nome di guerra di successione spagnola, determina anche nel territorio lunigianese profondi cambiamenti. Nel 1704 i calicesi, guidati da Francesco Zanelli, capitano dei Doria, si uniscono ai franco – spagnoli e attaccano le terre dei marchesi di Mulazzo schierati a loro volta con le truppe imperiali. La sconfitta priva Giannandrea del feudo di Calice e Veppo. I tempi sono però molto cambiati e i Malaspina, che si erano illusi di entrare in possesso del vecchio feudo senza colpo ferire, si ritrovano a dover sborsare all’Imperatore una somma ingente per acquisirlo a causa degli ingenti costi della guerra. La popolazione a sua volta guarda con grande diffidenza al ritorno dopo secoli dei Malaspina conosciuti per le loro pesanti imposizioni fiscali così da determinare una sollevazione contro Carlo Moroello , succeduto al padre Azzo Giacinto, che nel 1753 deve fronteggiare la ribellione dei calicesi stanchi di soprusi e di dover lavorare gratis per i continui lavori di manutenzione al castello. Decide così di mettere in vendita il complesso offrendolo prima alla Repubblica di Genova e poi al Granduca di Toscana. Leopoldo d’ Asburgo Lorena non si fa scappare l’occasione per estendere la propria influenza su porzioni di territorio ligure che finiranno per seguire le sorti della Toscana granducale e poi della provincia di Massa – Carrara: solo nel 1923 i Comuni di Calice al Cornoviglio e Rocchetta di Vara entreranno a far parte della neonata provincia della Spezia. Il 18 dicembre 1781 il granduca Pietro Leopoldo dona il castello alla comunità di Calice al Cornoviglio. Alcuni anni più tardi, nel luglio del 1786, il granduca compie un lungo viaggio nel territorio lunigianese per verificare di persona l’applicazione delle riforme da lui promulgate: da Pontremoli risale nello Zerasco e arrivato ai Casoni prosegue fino al castello che può ammirare di persona dall’alto. Così descrive il Calicese facendo successivamente il resoconto di quel viaggio “… Il territorio è composto di una valle contornata da alti monti, molto fertile e ben coltivata, tutto vestita di castagni, mescolata di sementi” . Il granduca mostra di essere persona parsimoniosa e di buon senso che non vuole incidere sui bilanci pubblici: sollecitato dai suoi funzionari ad effettuare interventi al castello che avrebbero cancellato le modifiche seicentesche oppone un deciso rifiuto a parte favorire opere di ordinaria amministrazione.
Oggi il grande complesso, che il Comune di Calice al Cornoviglio ha inteso a suo tempo restaurare per riportarlo ai fasti passati, ospita un polo museale nel quale trovano posto i musei di Storia naturale, della Brigata partigiana “Val di Vara”, dell’Apicoltura, la pinacoteca “Davide Beghè”, il piccolo museo dedicato al pittore Pietro Rosa e infine la statua stele rinvenuta nella frazione di Borseda. Quella pietra rappresenta la storia di un territorio antico e il suo ritrovamento ci appare non casuale, là dove le terre che furono dei Malaspina e delle antiche famiglie genovesi idealmente si uniscono pur nel mutato quadro amministrativo. E per un istante sembra di vedere, all’improvviso, su quella che un tempo era una mulattiera di collegamento del feudo, la marchesa Placidia a cavallo di ritorno da Veppo al castello da Calice. Suggestione? Chissa...
Nella foto il castello di Calice asl Cornoviglio