IL PAESE SUL NIDO DEL GRIFONE. BEVERONE FRA STORIA E LEGGENDA

 IL PAESE SUL NIDO DEL GRIFONE. BEVERONE FRA STORIA E LEGGENDA

Chi arriva per la prima volta a Beverone, piccolo borgo del Comune di Rocchetta di Vara e sale alla chiesa di S.Giovanni Battista decollato che domina dall’alto il paese, non può fare a meno di esprimere meraviglia e stupore per il grandioso panorama che spazia sulla Val di Vara, la costa e le Alpi Apuane. Nel 1930 Carlo Caselli nel suo lungo viaggio nella terra di Lunigiana, arrivato a piedi a Beverone da Cavanella Vara passando per Fornello, scriveva “… La fatica non è lieve , ma grandissimo è il premio quando si tocca il cocuzzolo. Il sentiero è ripido, malagevole, ma in parte ombreggiato da castagni e da pini silvestri. Di quassù lo spettacolo è indescrivibile…”.
La prima impressione che Caselli ricava arrivando a Beverone è però negativa e si manifesta appieno nelle sue parole. I vecchi del paese hanno “… la faccia quasi del color della roccia del monte, incorniciata da barba e capelli incolti” mentre le donne e i bambini si presentano “…. pallidi con occhi sbarrati”. Dopo il difficile approccio iniziale con una comunità che si doveva presentare a quel tempo chiusa e ancestrale, il Nostro deve tuttavia ammettere che “… trascorrendo una giornata quassù si può diventare amici di tutti mangiando insieme focaccette e latte”. A distanza di un secolo da quel resoconto che pone in evidenza uno stato di forte arretratezza economica dobbiamo riconoscere che molte cose sono cambiate, in meglio sicuramente, con una ospitalità semplice e genuina. Le case, dal profilo basso, sono molto curate e la grande aia in mezzo al paese è ancora lì, intatta come un tempo, come un grande conciliabolo del passato. Passeggiare lungo il carruggio principale è invitante e piacevole alla scoperte di piccoli angoli nascosti e di spazi poco conosciuti.
Beverone deriva con ogni probabilità dal latino “bibere” ossia bere riferito alla fonte vicina al paese dove si abbeveravano un tempo i cavalli; il territorio fu dapprima alle dipendenze dei Vescovi di Luni e poi dei Malaspina di Villafranca Lunigiana. Significativo è, oltre alla chiesa dedicata a S.Giovanni Battista decollato che qui si celebra il 29 agosto di ogni anno, il piccolo oratorio di S.Andrea all’ingresso del paese edificato attorno al 1680.
Cercando con la fantasia di tornare indietro nel tempo, prima dell’arrivo dei Romani nella piana di Luni, possiamo comprendere quale possa essere stata la vita dei nostri antenati, frugale e rivolta sostanzialmente alla caccia e all’allevamento, con una agricoltura che ha dovuto sempre e in ogni caso fare i conti con un paesaggio difficile, tutto da modellare. Il rapporto con la natura è stato inoltre improntato ad una sorta di rispetto atavico, come tradizione delle civiltà antiche.
Possiamo così comprendere il perché della costruzione di edifici religiosi sulla sommità delle cime, all’indomani della caduta dell’impero romano e del lungo e travagliato periodo che ne seguì. Il cristianesimo andava affermandosi anche sulle montagne della Val di Vara con fatica fra popolazioni abituate per millenni a concepire il proprio vivere quotidiano attraverso gli accadimenti naturali che scandivano l’incedere delle stagioni. Il processo di contaminazione della nuova religione fu lungo e complesso e non mancarono forti resistenze. Si comprende allora il significato della erezione di santuari, chiese e oratori anche sulla sommità delle montagne, a voler significare la presa di possesso, non solo simbolica, di luoghi sui quali erano stati praticati fino ad allora riti definiti genericamente pagani. La lunga stagione del culto delle vette e dei conciliaboli dove riunire periodicamente i vari gruppi tribali stava per finire e ad essa si andava a sostituire il cristianesimo con nuovi riti e luoghi di preghiera ad iniziare da quelli posti, per una scelta ponderata, sulla sommità dei monti. E se la datazione dei nuovi edifici che si vanno a sovrapporre agli antichi luoghi di culto talora non è possibile, come nel caso della chiesa di S.Giovanni Battista decollato a Beverone, possiamo solo ipotizzare che la stessa sia da ricondurre a un periodo di poco posteriore all’anno Mille, coevo alla preesistente pieve di Bocchignola sopra Veppo successivamente trasformata in semplice oratorio. A presidiare il monte Beverone rimane così San Giovanni Battista decollato dopo che il primitivo insediamento è stato trasferito in basso in posizione più sicura rispetto ai rischi di eventi meteorici estremi. Tracce di piccoli insediamenti stagionali sono ancor oggi visibili cercando attentamente nelle pieghe della montagna lungo la dorsale, a un centinaio di metri dalla stessa chiesa. Si intravedono allineamenti puntuali di pietre a delimitare il perimetro delle piccole capanne. Crediamo che nuovi e approfonditi scavi archeologici su questa area e sulla Piana degli Orti, singolare sito popolato di lecci con particolari e curiosi affioramenti posto alle pendici del vicino monte Nero, potranno offrirci una nuova chiave di lettura sulla evoluzione di un comprensorio ancora tutto da indagare.
La leggenda del “Dùgu” raccontata da Sergio Antognelli, “Il cantore di Beverone”, la persona alla quale dobbiamo grande riconoscenza per aver salvato dall’oblio e dalla dimenticanza questa piccola comunità, ci ricorda l’uso mitologico di un uccello, in questo caso il grifone, rapace presente in passato in Val di Vara oggi relegato in poche aree della penisola. La popolazione avrebbe abbandonato l’originario insediamento sulla sommità a causa delle continue scorribande di questo mostro dotato di grandi ali e artigli che portava via addirittura i bambini. E’ da ritenere che lo spostamento delle capanne, usate con ogni probabilità durante la stagione estiva, sia da collegare, facendo una similitudine fra il “Dùgu” e gli eventi meteorici estremi, a questo secondo aspetto, foriero di danni anche alle persone come ebbero a raccontare i ragazzi di Beverone al Caselli durante la sua breve permanenza in paese. La particolare conformazione del monte di Beverone, al pari del vicino Monte Nero, con una ricca presenza di materiali ferrosi, ha favorito da sempre accadimenti naturali ritenuti dalle popolazioni antiche premonitori di future tragedie. Ricordiamo che la croce in ferro eretta nel settembre del 1914 sulla sommità del monte Nero, per volontà di papa Benedetto XV, per scongiurare l’insorgere del primo Conflitto mondiale, fu abbattuta la notte dell’8 dicembre 1950 da un fulmine che mandò in cenere anche la piccola cappella costruita nel 1934. La grande croce fu rimessa al suo posto nel settembre 1954 grazie alla determinazione della comunità di Beverone e delle vicine Veppo e Garbugliaga; quest’ultima ha in comune con Beverone il cimitero nuovo sorto a mezza strada fra i due paesi. Sempre a proposito di fulmini il 10 novembre 2010 il campanile della chiesa di S.Giovanni fu pesantemente colpito e si rese necessario ricostruirlo.
Vento e fulmini sono stati da sempre una componente costante della vita della piccola comunità, anch’essa vittima del grande esodo che alla fine degli anni ’50 ha segnato l’abbandono della montagna e della campagna. In molti paesi è venuta meno la trasmissione orale dei saperi che aveva rappresentato per millenni il collante fra le generazioni. Nel suo “libretto”, come Sergio Antognelli usa scherzosamente chiamare “Battiventu de Beveun”, il ricordo del passato si lega al presente e alla mancanza di prospettiva per il futuro. Vorremmo chiudere con le parole, semplici e di grande umanità, che Sergio dedica al suo paese natale, una sorta di testamento collettivo in attesa di una impossibile catarsi “… Caro Beverone è da tanto che pensavo di scriverti una lettera”, “…Oggi ai pochi rimasti viene da pensare: mi sa che Beverone è ormai alla fine”. Eppure questa comunità vive e continua a studiare con cura e immutato entusiasmo il proprio passato. Dopotutto Beverone non è affatto al termine dei suoi giorni ma merita semmai di essere conosciuta e amata, salendo almeno per una volta nella propria vita lassù, su quel piccolo nido di grifone, dove la vista arriva lontana. Se scrutate l’orizzonte ritrovate in basso, da un lato all’altro della grande valle, una umanità fatta anzitutto di comunità di persone unite dall’amore per questa terra, la Val di Vara, piena di un fascino semplice e accattivante.

Nella foto la chiesa di S.Giovanni Battista decollato a Beverone

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