BOCCHIGNOLA E LA STRADA DEI MORTI

 BOCCHIGNOLA E LA STRADA DEI MORTI

La nostra storia si snoda fra Liguria e Toscana all’interno del territorio ligure – apuano da sempre. Il 27 luglio 1930 Carlo Caselli scriveva al giornale “Il Telegrafo” del quale era corrispondente “Domani partirò dalla Spezia a tratto d’asino per iscoprire la Lunigiana”. L’appellativo di “Viandante” coniato dallo stesso Caselli su “Lunigiana ignota”, resoconto fedele del suo viaggio pubblicato nel 1933, ben si addice a uno studioso che ci ha consegnato uno spaccato di vita in cui realtà e favola si intrecciano senza avere il lettore la percezione esatta del limite fra l’una e l’altra. Il Novecento ha rappresentato per il nostro territorio un periodo nel quale forti erano le aspirazioni per la conquista di una reale autonomia della Lunigiana storica con uno sviluppo notevole nel campo della cultura e delle arti e in tale contesto si colloca appunto Carlo Caselli. Egli ci ha lasciato una importante testimonianza del ruolo e della importanza della cultura orale attraverso la quale mantenere viva la conoscenza delle proprie tradizioni e dei propri saperi. Di quel modo diretto di interpretare il giornalismo eroico, vissuto sul campo con un taccuino in mano, buona parte è andata perduta con qualche eccezione che ci piace volentieri ricordare allorquando nel 2010 Luciano Bonati, grande camminatore e penna arguta, reinterpreta in accordo con il CAI, al quale è iscritto da diversi lustri, parte di quei viaggi ovviamente non più a dorso di un somarello ma con l’ausilio di un vecchio fuoristrada che il nostro custodisce ancora gelosamente.
Molti testimoni di quel racconto di primo Novecento se ne sono andati per sempre ma in qualche località è stato possibile riannodare il filo della memoria grazie ai più giovani. A Chiesa di Rossano abbiamo conferma della esistenza di una “Strada dei morti”, la stessa di cui parla Carlo Caselli nel suo “Viandante”. Andrea, poco più che ragazzo all’epoca, che abita ancor oggi nella valle di Rossano, ricorda che fino ai primi del Novecento era costume portare a piedi i morti fino alla Pieve di Bocchignola seguendo una mulattiera che risaliva il crinale per raggiungere poi l’Alta Via dei Monti Liguri. Ogni tanto gli addetti al trasporto del morto adagiavano il corpo su pietre dall’andamento piatto, levigate opportunamente, chiamate in dialetto “posadore” o qualcosa di simile. Il viaggio era lungo e faticoso, quasi penitenziale, presentandosi soprattutto nel primo tratto la mulattiera in salita per guadagnare la dorsale della montagna. Arrivati con il defunto in cima al monte era di conforto ai vivi che lo accompagnavano nell’ultimo viaggio la visione che si parava davanti ai loro occhi con l’imponente e diruto Dragnone e il vicino Castellaro, espressione di una storia che accompagna gli uomini di questa terra da millenni. Oggi lo Zignago, composto da tanti nuclei sparsi che arrivano a malapena nel loro insieme a cinquecento anime che definire eroiche non è retorico, ci appare come molti secoli fa, quasi immutato, modellato solo in parte dall’uomo che qui ha trovato un equilibrio con la natura che lo circonda. Eppure la vita non è mai stata e non è facile, condizionata da un forte isolamento che ha inciso su costumi e tradizioni ma che non ha scalfito la generosità e il sacrificio delle persone anche nei momenti difficili. Così lo descrive Luciano Bonati, novello Viandante, in “Storie Nostre” intervistando una umanità fatta di rispetto degli altri e amore profondo per le proprie radici. Oggi parlare di Rossano, Zignago, Suvero, Veppo, Alto Calicese sta a significare parlare di una omogeneità culturale che ha resistito alle divisioni imposte da repubbliche marinare, marchesati per finire oggi a province e regioni. La montagna non divide ma lega le comunità in una sorta di rapporto ancestrale, un ritorno alle origini che va oltre le divisioni amministrative.
Vi chiederete cosa c’entra in tutta questa noiosissima narrazione la “Strada dei morti” di cui parlavamo all’inizio. Perché in buona sostanza compiere un così lungo tragitto per seppellire la persona cara? Ancora oggi non abbiamo certezze al riguardo e spesso gli studiosi di storia locale esprimono pareri contrastanti che finiscono per lasciare aperti ancora una volta dubbi e misteri. I Liguri antichi ben conoscevano le Strade dei morti: in Alta Versilia in Comune di Stazzema un fenomeno del tutto simile a quello di Bocchignola è documentato per la comunità di Terrinca. Nel punto di valico dalla valle di Rossano alla Val di Vara arrivava un sentiero che risaliva da Sasseta, piccolo borgo alle falde del monte Dragnone in Comune di Zignago, con destinazione Bocchignola. Non lontano dall’antica pieve in località Foce di Veppo presso Borseda, piccola frazione del Comune di Calice al Cornoviglio, fu rinvenuta ai primi del Novecento durante lavori stradali la testa di una statua stele. Con quella ritrovata a Novà, non lontano da Pieve di Zignago, sono al momento due le statue stele trovate sul versante ligure della Lunigiana. Casuale la collocazione non lontano dal sito cimiteriale di Bocchignola? Secondo alcuni studiosi assolutamente no. E’ certo che la collocazione su un grande pianoro posto fra il monte Bastia e il Bric Castellaro, toponimi liguri sopra l’attuale abitato di Veppo, fa pensare per le caratteristiche del sito a un luogo particolarmente caro alle comunità tribali che secondo il Caselli avrebbe ospitato un tempio pagano. Parlare di un edificio religioso appare poco ragionevole tenuto conto che la devozione dei popoli antichi, nel caso specifico i Liguri, si traduceva in semplici riti naturali e che Bocchignola rappresentasse un luogo particolare è ragionevole pensarlo anche se mancano al momento riscontri archeologici certi. Non sappiamo quando fu costruita la “Ecclesia de Bucagnola”, menzionata in documenti del 1200, sorta nel punto dove da tempo immemorabile le comunità della montagna andavano a seppellire i loro defunti, ma sappiamo per certo che dopo il XV secolo nulla è dato sapere della esistenza di questa antichissima pieve cristiana perdendosene memoria nei documenti della Diocesi di Luni dalla quale dipendeva. Quel che sappiamo è che fino al 1618 fu la sede della parrocchia degli abitati sparsi di Veppo e Borseda, per essere abbandonata nel 1643 con il trasferimento definitivo nella chiesa di S.Michele Arcangelo a Veppo. L’attuale edificio religioso è un oratorio risultato di una ricostruzione del XVIII secolo sui resti del precedente. Quel che è certo è l’utilizzo fino ad epoca moderna di Bocchignola come luogo di sepoltura, segno evidente che rappresentò per secoli il punto dove le comunità della valle di Rossano e dell’Alta Val di Vara seppellivano i loro morti. In un passo del “Viandante” Carlo Caselli rileva, parlando degli antichi Liguri, “… Com’era loro antico costume, trasportavano di lontano i morti per accompagnarli buon tratto della strada che dovevano percorrere onde passare nel mondo d’oltre tomba”. In buona sostanza il trasporto dei defunti fino a Bocchignola ( si pensi al caso limite della comunità di Rossano ) sarebbe riconducibile al permanere di tradizioni antichissime che neppure con la creazione di una pieve sarebbero venute meno fra le popolazioni liguri della montagna. L’affermarsi del potere dei Vescovi di Luni non fu in queste aree automatico ma condizionato per secoli dal permanere di usi e costumi retaggio di un antico passato.
Bocchignola rappresenta ancora oggi il luogo dello spirito dove la gente di Veppo ritrova le radici dell’essere comunità, fra storia e leggenda.



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